Lukoil, azienda russa petrolifera, possiede una parte importante del polo petrolchimico di Priolo, in Sicilia, un colosso che da solo produce ⅓ del fabbisogno italiano di prodotti raffinati da petrolio, inclusa benzina che gli automobilisti consumano presso i distributori. Prima della guerra Lukoil importava solo il 30% di petrolio dalla Russia e il resto da altre nazioni. Con le sanzioni dell’EU si è ritrovata a dover importare tutto il 100% del suo fabbisogno direttamente dalla Russia.
Questo paradosso delle sanzioni europee doveva esplodere il 5 dicembre quando le nuove sanzioni europee contro la Russia dovrebbero impedire a Lukoil anche le importazioni dalla Russia. A quel punto il rischio era la minaccia della disoccupazione, per 3000 lavoratori. Disoccupati nel Sud Italia. Ma con un effetto domino su un totale di 10000 lavoratori dell’indotto. Le ripercussioni della chiusuara di Priolo si abbatterebbero su tutta l’Italia con un tagli improvviso del 30% dei prodotti raffinati: grossi aumenti del prezzo della benzina, grosse difficoltà di rifornimento per le aziende trasportatrici, grosso aumento del costo di tutte le merci trasportate.
Il governo ha evitato tutto questo nazionalizzando la Lukoil.
Ma perché ci siamo trovati in questa situazione?
Anche se Lukoil è Russa, sotto le sanzioni dell’EU, può comunque operare liberamente e acquistare greggio presso i produttori. Il problema e che stanno interpretando troppo restrittivamente le regole europee. Ma non la Lukoil, sono le banche a farlo.
Infatti le aziende russe non ricevono più le lettere di credito indispensabili all’acquisto di greggio presso i produttori.
Lettera di credito significa che una banca fa da garante per i pagamenti di grandi commesse internazionali, un passaggio necessario.
A quel punto il nostro ministero dell’economia aveva inviato una lettera alle banche in cui specificava ciò che già era noto: la Lukoil non starebbe a infrangere le sanzioni, quindi le banche sono libere di concedergli la lettera di credito. Ma le banche spariscono, come volatilizzate. Non dicono di sì, non dicono di no, non motivano.
E qui è dove andiamo a toccare con mano la ferocia della geopolitica. Non esiste una banca che accetterebbe di farsi da garante per poi esporsi alle ritorsioni dell’amministrazione americana, temono anche loro le conseguenze delle sanzioni, stavolta americane. Pensare che le sanzioni siano solo uno strumento per isolare regimi dittatoriali è limitante, le sanzioni sono uno degli arnesi con cui gli Stati Uniti, specialmente, mantengono il loro dominio economico, e questo ne è un piccolo esempio.
Infatti, il fondo Crossbridge Energy, americano, aveva provato già a comprarsi il polo petrolchimico di Priol , ma Lukoil rifiutò, figurarsi. Quando si dice che la guerra sta dando solo svantaggi all’europa e vantaggi tutti agli USA.
Il 18 novembre il ministero ha pure tentato di riuinire le parti attorno a un tavolo, per parlarne. Che imbarazzo, alla riunione mancava l’unica parte che aveva il potere di risolvere il problema, le banche!
Ma perché le banche hanno tanta paura, anche solo di partecipare alle discussioni? Perché si sono già scottate in passato.
Si sono scottate cone le “sanzioni secondarie”. Gli USA applicano le sanzioni primarie ai propri cittadini, aziende, prodotti e tecnologie. E le sanzioni secondarie a tutto il resto del mondo. Ad oggi a chi fa commerci con Iran, Corea del Nord, Cuba, Russia e Venezuela. Questo è il motivo per cui le banche non vogliono saperne di Lukoil ed è anche il motivo per cui un paio di anni fa la maggior parte degli iraniani in italia si sono visti chiudere, senza ragioni e senza spiegazioni, il proprio conto corrente bancario da quasi tutti le banche, cmq tutte le maggiori, a seguito della stratta di Trump all’Iran.
Comunque il problema è rientrato con un decreto urgente del governo Meloni che ha nazionalizzato il petrolchimico Priolo, ora ex-Lukoil.